Numero 67

Autorizzazione 684/18 del 22/2/98 del tribunale di Lucca

Dicembre 2022 – Febbraio 2023
Sotto l’ombra di un bel fior

Scritto da Elena Panzera

«È morto un altro operaio, stamattina.»
Lo dici mentre cospargi d’olio d’oliva la pasta già condita (tanto è quello buono di Vitolini, “fa bene all’intestino”).
Urlo, perché sei sordo come una campana. «Ho sentito. Che disgrazia.»
Dietro la cataratta si leva uno sguardo accigliato. «Disgrazia? Ora si chiama disgrazia?»
Ti guardo mentre fai la scarpetta con le sopracciglia alzate, le orecchie enormi sulla testa smagrita, le mani agili e belle. Hai ragione: non ci sono disgrazie, nei cantieri.
«Prima era meglio» dici. «Non saremmo stati zitti.»
Alzo gli occhi al cielo. Lo conosco anche troppo bene, questo disco. «Nonno, te ci sei fissato, col prima, te lo dico io. Prima c’era il fascismo, c’è stata la guerra; prima non avevi niente.»
Sorridi con gli occhi piccoli che un tempo erano verdi, nei quali intravedo un inequivocabile e sereno “saiunasegatedovedormeilpolpo”.
Invece stavolta te ne esci con una cosa diversa. «Prima, eh. Prima c’erano le arance nei campi del vicino, a Reggio Calabria. Campi a non finire. Le rubavo coi miei amici, io, ma c’era da stare attenti perché aveva il fucile e gli piaceva accoppare i poveracci. Sapessi quante glien’abbiamo rubate.»
Me lo confessi tutto allegro, in barba ai miei diciassette anni in costruzione e al furto delle pere del vecchio Agostino.
Mi fai ridere, grinzoso e buffo come sei. «Non è che era meglio. È che prima eri giovane, nonno. Tutto lì.»
Ti guardo masticare la mollica del pane e so che ora pensi alle tue arance, alla casa, a quella volta che, militare in licenza, ti trascinarono in caserma perché prendevi il sole in mutande e ti avevano scambiato per un nordafricano (sconcio, per giunta), ché essere nordafricano era motivo di scandalo già allora. «Ma come, ci vietano anche il sole, ora?»
Poi che altro pensi? Pensi a stamattina? Con quanta gente sei riuscito a litigare, quest’oggi, eh?
Ami la terra e la politica, quindi ti fanno incazzare quasi tutti. Dalle poste al panificio, passando per la fioraia del cimitero e il ferramenta, la tua via è lastricata di prepotenti, disattenti, razzisti, scansafatiche, inetti, arruffoni, furbi, fascisti; gente che cerca di vivere tranquilla («no, è che se ne infischiano degli altri»), gente che non sta sempre a fare polemica («no, è che è più comodo accettare tutto»); gente che a volte si accontenta («sì, tanto paga qualcun altro»). Gente, insomma. Comunità.

Il problema è che te sei un partigiano, nonno, e lo sei dalla mattina alla sera, tutti i giorni della tua vita. Lo eri un tempo sulle colline e lo sei ancora, mentre guardi la televisione con l’apparecchio acustico a palla e la coperta di lana ricamata, quando non resisti più al telegiornale e ti alzi per urlare più vicino allo schermo, così magari ti sente meglio. (Mi sdruccioli solo su Alberto Castagna che presenta Stranamore. Al romanticone baffuto non resisti: da quanto ti piace gli perdoni addirittura la Fininvest!).
Eppure gli ultimi giorni della tua vita, quando hai accettato finalmente di farti accompagnare nelle tue commissioni (c’avevi da fare fino all’ultimo; volevi aggiustare tutto, mettere i fiori freschi alla Ada, giocare la schedina, lavare l’insalata, oppure perderti nella costruzione delle tue sculture di acciaio inossidabile – ah, quel materiale incredibile, quanto eri felice di averlo tutto per te e poterci fare quel che volevi!), ho scoperto un piccolo mondo di persone innamorate di te. 

Come entravi in un bar o in un negozio, immancabilmente veniva allungato uno sgabello perché ti sedessi, un bicchiere d’acqua, una scatola di chiodi, la guarnizione che cercavi. A quanto pare, ti dicevo, anche i prepotenti, i disattenti, i razzisti, gli scansafatiche, gli inetti, gli arruffoni, i furbi e i fascisti sanno riconoscere un pungolo come te quando se lo trovano davanti; uno che, col solo fatto di esistere, li spinge a riaggiustarsi (anzi no, i fascisti no!).
Eri solo un uomo che voleva essere libero e felice in mezzo ad altri uomini liberi e felici.
Eri sempre incazzato, ma sorridi in tutti i miei ricordi. Giuseppe Panzera, classe 1916, aviere aiuto macchinista, ferroviere, invalido del lavoro, partigiano della brigata M. Garosi, nonno: non so dove altro tu sia, ma sei di certo qui con me,
sotto l’ombra di un bel fior.

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