Racconto breve a più penne
Aisha fugge dal suo paese che è in guerra, un piccolo villaggio del Nord Africa.
Ha perso tutto quello che possedeva, è riuscita a racimolare i soldi per gli scafisti e finalmente è salita su quel maledetto barcone. Non è sola con lei c’è sua figlia, ha solo tre mesi, la tiene stretta alla vita, dentro un marsupio di stoffa. Lei sa che il viaggio sarà lungo ed estenuante e l’ansia, col passare del tempo sembra che prenda a morsi la speranza. Aisha si guarda intorno e vede tante persone, più di quelle che la barca dovrebbe contenere e ha paura! Si fa spazio tra gambe e braccia che, come lei, cercano in quel guscio che galleggia, un posto riparato e sicuro. I giorni passano e per non perdere la cognizione del tempo, ad ogni sorgere del sole, fa un nodo ad un penero del suo scialle. Il sole a picco cuoce la pelle e l’arsura non cessa con la misera razione d’acqua che le viene data. Il suo pensiero è solo per la sua creatura, che cerca di sfamare attaccandola al suo seno vuoto e prova a idratarla inumidendole le labbra con la propria saliva. Nascosto sotto la gonna ha un sacchetto con dentro una mistura di pane e noci sbriciolati e un’erba simile alla borragine per stimolare il suo seno a produrre latte.
Le ore notturne sono umide e fredde, lo sbalzo di temperatura è incredibile tanto che il giorno e la notte non sembrano appartenere allo stesso viaggio. Il rumore del motore prende il posto dei pensieri e si confonde al vociare dei lamenti, che si alternano al silenzio religioso e pietoso dopo il tuffo dei cadaveri. Finalmente, tra la foschia, si intravede una costa. L’euforia invade gli animi, ma le urla degli scafisti intimano la calma. Il motore rallenta in attesa del buio. In fretta, poi, chi li ha portati fin lì, sale su un’altra imbarcazione, abbandonandoli al loro destino. Unico gesto di compassione: rischiarano il cielo buio con un razzo di segnalazione. Adesso sono soli, alcuni afferrano il timone, cercando di mantenere la rotta, altri pensano di farcela a nuoto, nonostante il mare si stia ingrossando. È già notte fonda, il vento soffia forte, ad ogni sobbalzo le onde inondano la barca. Aisha cerca di mantenersi ferma, rannicchiandosi su sé stessa, incastrando ginocchia e gomiti nell’incavo dello scafo. Un’ onda gigantesca li fa capovolgere, lei trattiene il respiro e, per istinto copre la bocca della sua piccola Adenike con il palmo della mano. Sono istanti interminabili, poi, finalmente l’aria. Subito pensa alla bambina che è ancora sott’acqua; con un colpo di reni si gira in posizione dorsale, cercando di rimanere a galla, in quel modo Adenike può continuare a respirare. La invade la paura di non farcela. E’ tutto un vociare, ognuno soffoca il sentimento di terrore: deve pensare a sopravvivere!
In quell’inferno la donna vede delle luci, è la guardia costiera. Prova un sentimento indicibile: intravede la salvezza! Con tutta la forza che le rimane grida “aiuto”. Da lì a poco viene afferrata con forza e issata a bordo, anestetizzata dal freddo, quasi non si accorge della coperta che l’avvolge, assieme alla piccola.
A Lampedusa, primo centro di accoglienza, dopo il controllo medico vengono rifocillate e rassicurate. Sono stremate ma sane e salve! Aisha stringe tra le mani una tazza di tè fumante, Adenike, finalmente dorme al caldo, lei si sofferma a pensare su ciò che ha intorno e un moto di tristezza l’attraversa. Ha negli occhi quel mare pieno di dolore, solo un attimo, un battito di ciglia, perché ormai è tempo di rinascita.