Numero 67

Autorizzazione 684/18 del 22/2/98 del tribunale di Lucca

Dicembre 2022 – Febbraio 2023
Consigli di lettura

Scritto da Laura Domenici

E questo è niente

di Michele Cecchini edito da Bollato Boringhieri

Un libro molto piccolo che si legge con piacere, originale, leggero e profondo nello stesso tempo. Da toscana ne ho apprezzato anche le tante tipiche espressioni linguistiche molte delle quali avevo dimenticato, già il titolo è un modo di dire che usiamo correntemente quando riferiamo cose di cui meravigliarsi, lasciando sottintendere che ben altre sono da raccontare; oggi non esiste più un vero e proprio “lessico famigliare”, la lingua utilizzata nell’ambito familiare è pressoché identica a quella utilizzata in altri contesti, per cui leggerlo da questo punto di vista è stato rievocativo, mi ha fatto riassaporare atmosfere dimenticate.

La voce narrante del libro è Giulio, un ragazzino sedicenne tetraplegico, completamente immobilizzato, che ascolta e osserva quello che riesce a vedere, i genitori non li ha più ed è seguito dai nonni, non parla ma commenta tra sé e sé, esprime pensieri, desideri, riflessioni sui comportamenti dei cosiddetti “normali” strappando al lettore sorrisi e suscitando empatia.

Giulio non esce di casa, nessuno lo chiama per nome e viene sballottato da una stanza all’altra quando ci sono visite, è accudito ma come un oggetto, pulito e nutrito e nulla più, mentre invece possiede un’interiorità sorprendente, nutre un’ammirazione sconfinata per il nonno medico e attraverso quello che sente analizza la vita talvolta con ingenuità ma spesso sottolinea le contraddizioni del mondo adulto, i pregiudizi, le zone opache, senza giudizio critico, lasciando al lettore tanti spunti cu sui riflettere.

Con una prosa piacevole, leggera e brutale insieme penetriamo nel mondo di chi non ha voce accompagnando Giulio fino al raggiungimento del suo più grande desiderio: vedere il mare, finalmente vedrà la sua aria “e anche se dovesse essere ghiaccia marmata, fa niente. Io la voglio respirare tutta.


Diario di scuola

di Daniel Pennac edito da Feltrinelli

Ho letto con enorme piacere questo “diario”, in parte autobiografico e in parte saggio pedagogico, che si propone di rasserenare i ragazzi che si credono “stupidi” perché da tali vengono trattati.

Pennac ci parla della scuola così come la vedono e sentono i “somari”, anche lui è stato uno studente svogliato e mediocre e quindi parla a ragione veduta dei cosiddetti fannulloni, attraverso racconti, confronti con altri insegnanti nonché argomentazioni pedagogiche originali e intelligenti spesso condite da ironia.

Una lettura piacevolissima che non dà ricette né risposte certe ma rivaluta il ruolo e il compito dell’insegnante, ovviamente dell’insegnante valido, quello capace di coinvolgere, quello che sa ascoltare, che si mette in discussione ma soprattutto che offre motivazioni, cuore, e riesce ad accendere l’amore per la cultura.

Ci sono dei passaggi che mi sono rimasti impressi, uno di questi il colloquio che Pennac tiene con una collega della periferia parigina, le famigerate “banlieue”.

La collega gli si rivolge dicendo che ogni studente suona il suo strumento, la cosa difficile è trovare l’armonia afferma, una buona classe non è un reggimento, ma un’orchestra che prova la stessa sinfonia, il piacere dell’armonia fa progredire tutti, il problema è che vogliono farci credere che nel mondo contino solo i primi violini, e alcuni colleghi si credono dei Karaian che non sopportano di dirigere una banda di paese, ma sognano la Filarmonica di Berlino.

Nella chiusura del libro Pennac usa la parola “Amore”, parola avversata nei rapporti pedagogici: l’amore per la cultura, per il proprio mestiere, per gli alunni; con l’amore si raggiunge la gioia di vederli vincere, trionfare sulle loro paure, ansie, vederli superare gli ostacoli che li fanno sentire negati in certe materie, indegni…. una rondine tramortita è una rondine da rianimare.

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